THIS IS NOT A GAME

È un gioco ideato e realizzato da associazioni e persone che quotidianamente si occupano di migrazioni e diritti umani, per raccontare perché e come avvengono i viaggi delle persone migranti verso l’Europa. L’obiettivo è quello di ragionare insieme all3 giovan3 sul tema delle disuguaglianze globali e confrontarsi su un nuovo modo di raccontare le migrazioni, che parta dalle storie individuali e riconosca le persone, lì dove vengono invece troppo spesso vengono trattate esclusivamente come numeri.

Attraverso il racconto di quattro storie si proverà a scardinare l’attuale narrazione, fatta dai media e dalla politica, che non spiega perché chi proviene da alcuni paesi non può spostarsi liberamente e in sicurezza come invece possono fare l3 cittadin3 dei paesi occidentali. Una narrazione che non approfondisce quali sono le motivazioni alla base dei pericolosi viaggi che l3 migrant3 sono costrett3 a intraprendere.

Molte persone non possono arrivare in Europa attraverso canali di ingresso legali e sicuri.

Non tutt3 hanno infatti la possibilità di ottenere un visto o di avere un passaporto, nonostante potrebbe sembrarci una cosa scontata. Molte ambasciate in molti paesi non rilasciano i visti per viaggiare. Questo impedisce alle persone di comprare un biglietto aereo e di arrivare in sicurezza e in modo legale, e costringe l3 migrant3 a percorrere rotte pericolose a rischio della propria vita.

Il titolo del progetto – THIS IS (NOT) A GAME – trae origine dal nome che l3 migrant3 hanno dato al tentativo di attraversamento della frontiera – il GAME appunto – lungo la rotta balcanica, una delle principali vie di migrazione che migliaia di persone percorrono da anni per provare a entrare nei territori dell’Unione europea.  Il GAME consiste nell’attraversare le frontiere dei diversi paesi balcanici. Si parla di “Game” perché, come in un “gioco”, se si vince si va avanti e si riesce ad arrivare alla meta, che è l’Europa, mentre se si perde perché si viene intercettat3 e riportat3 indietro, si è costrett3 a ritentare. Tantissime persone hanno provato anche per più di dieci volte il GAME. 

La rotta balcanica viene percorsa da anni da migliaia di persone: uomini, donne e bambini, spesso a piedi, scalzi, camminano, d’estate come d’inverno con la neve, per chilometri e chilometri, provando ad attraversare i fili spinati ai confini con l’Europa. Alle diverse frontiere vengono sottopost3 a controlli e maltrattamenti da parte della polizia di diversi Stati, e spesso vengono rimandat3 indietro. Il confine tra Croazia e Bosnia è uno degli esempi.

Qui la polizia di frontiera respinge chi riesce ad accedere in terra croata senza registrare eventuali richieste di asilo, violando un diritto fondamentale che è appunto quello di poter presentare domanda di protezione internazionale in un paese al di fuori di quello da cui si scappa. Migliaia di migranti che hanno percorso la rotta balcanica riportano di aver subito violenze come manganellate, pestaggi, utilizzo di spray al peperoncino, o di aver ricevuto l’ordine di camminare scalzi per chilometri lungo il confine.

La polizia si serve spesso dei cani per stanare e rincorrere le persone migranti che provano a fuggire attraverso i monti o a nascondersi nei boschi. Human Rights Watch, Are You Syrious/Centre for Peace Studies e Amnesty International riportano come oltre l’80% di persone migranti da loro seguite nel 2019, che aveva percorso la rotta balcanica, ha denunciato di aver subito almeno una forma di tortura e/o trattamento inumano e degradante da parte delle autorità croate.

L’altra rotta migratoria - tra le più percorse per arrivare in Italia, e tra le più mortali al mondo - è quella che dai paesi subsahariani arriva in Nord Africa e da lì attraverso il Mediterraneo in Europa.

Le persone che percorrono questa rotta arrivano in Niger partendo dai paesi di origine a bordo di camion e bus. Da Agadez molt3 migrant3 vengono caricat3 su pick up che attraversano il deserto del Sahara. Nel deserto le persone passano giorni in mano ai trafficanti, rischiano di essere derubate e sottoposte a violenze, possono essere lasciate uno o più giorni senza acqua né cibo. Se un mezzo di trasporto si rompe o i guidatori per sfuggire ai controlli delle forze di polizia abbandonano le persone nel deserto, queste sono costrette ad attraversare interi tratti di deserto a piedi. In molt3 sono mort3 di fame e di sete nel deserto, prima ancora di arrivare in Libia: migliaia sono le persone disperse.

Per chi arriva in Libia, la situazione non migliora. In Libia non esistono posti sicuri per le persone migranti, che cadono vittime di bande criminali, dell’esercito, di milizie, o di singoli.

Altissimo è il rischio di subire violenza sessuale da parte delle donne, ma anche di giovani e ragazzi. Quasi tutte le persone che sono passate dalla Libia hanno denunciato di aver subito violenze e torture, soprattutto se non riescono a trovare i soldi per pagare il riscatto.

Tutte vengono rinchiuse per un periodo di tempo in luoghi di detenzione e sequestro dove sono diffuse privazione di cibo e acqua, pessime condizioni igieniche e sanitarie, percosse e maltrattamenti. Quasi tutt3 hanno dichiarato di aver visto qualcun3 morire, essere uccis3, torturat3 o picchiat3. Molte persone vengono comprate e vendute a soggetti esterni per svolgere vari servizi, in una sorta di moderna schiavitù.

«Sono rimasto lì (in Libia) per 8 mesi. Stavo in una cella con altre 300 persone. Ci picchiavano tutti i giorni. Potevi essere rilasciato solo se pagavi. Ho visto soldati obbligare i prigionieri a chiamare i propri familiari e chiedere di farsi spedire i soldi mentre venivano torturati. Per 8 mesi non ho mai visto un dottore. Ho visto 4 persone morire di fronte ai miei occhi a causa delle forti percosse che avevano ricevuto. »

Testimonianza di una persona ascoltata e aiutata da MEDU - Medici per i diritti umani, una volta in Italia.

Dalla Libia, dopo un periodo di detenzione e sfruttamento, le persone migranti vengono fatte imbarcare su barche di fortuna alla volta dell’Italia. Negli anni anche la Tunisia è stato un paese da cui sono partite moltissime persone, e oggi la rotta tunisina è di nuovo molto utilizzata.

Quello che succede in mare varia a seconda delle condizioni metereologiche e delle condizioni dell’imbarcazione. Negli anni, migliaia di persone sono morte annegate nel Mediterraneo in seguito al naufragio di queste imbarcazioni precarie.

Altre volte le persone riescono ad approdare sulle coste italiane in autonomia, altre ancora vengono salvate dalle navi delle ong o dalla Guardia Costiera. Purtroppo negli ultimi anni le politiche adottate a livello italiano ed europeo hanno diminuito i salvataggi in mare da parte delle guardie costiera italiana e maltese e portano avanti una criminalizzazione delle navi delle organizzazioni umanitarie che continuano a effettuare i soccorsi.

L’Unione Europea continua a finanziare i Paesi dei Balcani e i paesi alla frontiera con l’UE con la promessa che essi fungano “da scudo” contro le persone che migrano e provano a entrare nel continente europeo. Allo stesso tempo finanzia i paesi nordafricani come Libia e Tunisia affinché limitino o blocchino del tutto le partenze delle persone migranti verso l’Italia e l’Europa e così facendo finanzia anche le torture, le violenze e gli abusi che avvengono ai nostri confini.

Queste politiche sono lesive dei diritti e della dignità umana, e devono cessare una volta per tutte.